“Non dimentichiamo che le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e che obbediamo a loro senza saperlo.”
Vincent Van Gogh
Oggi voglio parlarvi di una questione enormemente complessa. Ragion per cui, ho intenzione di farlo in modo circoscritto e di esprimermi solo attraverso la prospettiva che ho potuto acquisire sul campo, personalmente, svolgendo la mia professione di consulente e operatrice delle risorse umane. Voglio parlare delle emozioni sul posto di lavoro.
Il modo in cui percepiamo le nostre emozioni, spesso, può confliggere con l’idea di dover “Essere un vero professionista”. Sembra quasi che le emozioni, sul posto di lavoro, siano qualcosa di negativo, di sbagliato. Se siamo arrabbiati, tristi, pensierosi, stressati non conta: ciò che conta è che le nostre mansioni vengano svolte in maniera ineccepibile, aderendo a standard di qualità e quantità prestabiliti.
E forse c’è anche qualcosa di vero in questo: chi ci paga, si tratti di un’azienda per un lavoratore dipendente o del cliente per un autonomo, non ha interesse per quello che proviamo e per le nostre condizioni emotive, ma si aspetta che quanto richiesto sia consegnato nelle modalità e nelle tempistiche pattuite. E va bene, lo capisco, fin qui direi che non c’è nulla da eccepire…
Cerchiamo di non banalizzare la questione
Accettare asetticamente l’idea che “siamo tutti professionisti” può dare adito a incomprensioni, ad atteggiamenti superficiali e persino a pericolose sterotipazioni. Cercare di semplificare ciò che semplice non è, spesso, può portare guai!
La questione, infatti, è molto meno lineare di così. Il punto è che siamo tutti esseri umani e, in quanto tali, per fortuna, proviamo emozioni. Non esiste un interruttore emotivo che ci permette di arrestare la modalità “umano” e di attivare quella “lavoratore”, non funziona così. Nessuno di noi è in grado di scegliere quali emozioni provare e quando provarle e, che ci piaccia o no, anche mentre svolgiamo il nostro lavoro, proviamo emozioni.
L’emozione alla base del nostro agire
Proviamo emozioni mentre svolgiamo un’attività delicata, le proviamo mentre interagiamo con un cliente o con un fornitore, le proviamo mentre siamo chiamati a prendere delle decisioni importanti. E di questo dobbiamo tassativamente tenere conto. Non farlo, infatti, può rivelarsi dannoso, oltre che immaturo. Il nostro cervello risente dei nostri stati d’animo: quando siamo felici siamo più portati a preservare le condizioni di partenza; se proviamo rabbia, siamo tentati dalla voglia di agire impulsivamente; se siamo demoralizzati ci lasciamo sedurre dall’inerzia; eccetera, eccetera.
Le emozioni sono alla base del nostro comportamento e sono tutte utili. Proviamo paura perché essa ci permette di essere prudenti oppure ci prepara a reagire nel caso fosse necessario farlo. La paura esiste da sempre, è connaturata all’esistenza umana e alla sua preservazione sulla Terra, ci prepara alla fuga oppure alla lotta.
Certo, oggi non siamo più vittime dell’attività predatoria.. o perlomeno, non in senso stretto. Eppure, la realtà aziendale ricalca, in una forma civilizzata e meno istintuale, le stesse dinamiche dello stato di natura. Sappiamo come funziona: bisogna sapersi difendere e attaccare. Dobbiamo essere abili a tutelare il nostro posto di lavoro o provare a elavarlo, affrontare la concorrenza, procacciarsi risorse. Come possono le emozioni non avere un peso in tutto ciò?
Riconoscere le emozioni e gestirle
Le emozioni esistono, sono parte di noi, costantemente. In qualunque momento, proviamo qualcosa e lo facciamo anche durante il turno di lavoro. Questo va accettato e, soprattutto, gestito. Se stiamo vivendo un momento di stress, dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di riconoscerlo e di comprendere che, forse, non è il momento giusto per prendere una decisione importante.
Se vivo un periodo di tristezza, magari devo saper elaborare quella sensazione e darle un significato, capire da dove scaturisce e come mandarla via: potrei aver bisogno di svolgere nuove attività, di cambiare incarico o semplicemente di un periodo di riposo. Niente che non si possa risolvere con il dialogo, ma prima è necessaria una presa di consapevolezza. Può capitare che mi senta irascibile, deconcentrato, nervoso. Passerà, passerà in breve, ma per il momento è il caso di evitare scontri in ufficio, perché non sarei in grado di gestirli funzionalmente.
Questi sono solo alcuni di centinaia di esempi che potrei addurre, ma non mi interessa farlo. Più che altro, mi interessano le conclusioni che ne scaturiscono, che poi coincidono con la premessa: le emozioni sono parte di noi. Possiamo provare a soffocarle, ma sarebbe uno sbaglio.
Oppure possiamo accoglierle, conoscerle, comprenderle, le nostre e quelle di chi ci sta accanto, in modo da preservare la nostra unicità di essere umano e professionista.
Immagine: il fiore di Plutchik